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מתוך ויקיפדיה, האנציקלופדיה החופשית

אמנציפציה ליהדות מסינה[עריכת קוד מקור]

מלכים הזמינו למסינה מגדלי משי יהודיים על מנת שיפתחו תעשיית משי סיציליאנית באזור מסינה. סוחרים יהודיים נהגו לסחור במשי ועודדו גידול טוואי המשי במסינה. משי מסינה היה פופולרי מאוד באירופה. במטרה להפוך את לעיר נמל חופשי חשובה באגן הים התיכון, פנו ארבעה מלכים אל היהודים לבוא ולהתיישב במסינה:

שלט בשנים 1700-1665.

שלט בשנים 1740-1711.

שלט בשנים 1788-1735.

שלט בשנים 1825-1816.

שינויים טריטוריאלים שהתקבלו בקונגרס[עריכת קוד מקור]

ב-1821, לאחר הקונגרס לובליאנה רוטשילד החליט לעזור לפרדיננד הראשון מלך בית בורבון בממלכת שתי הסיציליות לממן את המלחמת נפולי והמלחמת סיציליה, ולכן נפולי הוחזרה לשלטון הנסיכים מבית בורבון שמלכו בסיציליה[עריכת קוד מקור]

יוצאת מהדופן בכלל זה היא צרפת, שאחרי תבוסתו והגלייתו של נפוליאון הוחזרה לשליטת בית בורבון[עריכת קוד מקור]

הענף האיטלקי הבן הרביעי של מאיר אמשל, קרל קלמן מאיר, שנולד בשנת 1788, התיישב בנאפולי וייסד שם את הסניף האיטלקי של העסק המשפחתי. סניף זה העניק הלוואות כספיות רבות למדינות איטליה השונות וגם למדינת האפיפיור. עם איחוד איטליה, חוסל סניף זה של העסק בשנת 1861. קרל קלמן מאיר מת בשנת 1855. היורש של קרל מאיר, אדולף קרל, חזר למשפחתו בפרנקפורט. הבנק שהוא ייסד היה הבנק הלאומי של אוסטריה. העסקים שלו התמוטטו בשל המשבר הפוליטי, הכלכלי והמדיני שאוסטריה הייתה בו לאחר מלחמת העולם הראשונה.


Il progetto di una banca napolitana non ebbe seguito a causa di tre reazioni convergenti: quella di Bombrini che aprì a Napoli uno sportello pomposamente chiamato sede, benché mancante dei soldi occorrenti per operare commercialmente su una piazza che era la più ricca nell’Italia del tempo; quella dello stesso Banco, che intendeva continuare la sua vecchia attività di banca di deposito e di sconto; quella di Cavour, ormai padrone di Napoli, che ovviamente non autorizzò la richiesta. Intanto la penetrazione della Banca Nazionale nel Napoletano e in Sicilia incontrò seri ostacolati. Ne elenco quattro. Primo: mentre altrove il numerario esistente era stato rastrellato rapidamente, con la conseguenza che le imprese, volenti o nolenti, erano costrette a impiegare i biglietti della Nazionale, nel Meridione il numerario era ancora abbondante. Mancando la costrizione delle cose a usare il biglietto piemontese, la gente lo rifiutava: gli preferiva l’argento, dotato certamente di ben altra eloquenza. Secondo: il nuovo Stato coniò monete in quantità insufficiente per sostituire i coni borbonici. Terzo: il governo di Torino, ispirandosi alla riserva mentale che le antiche monete avrebbero dovuto essere cambiate con carta - e solo con carta della Nazionale - le lasciò in circolazione, riconoscendo ad esse potere liberatorio nei pagamenti. Per cui la patriottica speranza che i napoletani si sarebbero autospogliati del proprio danaro non ebbe corso. Quarto: anche se qualche ingenuo poteva immaginare di ottenere lire oro in cambio di ducati, in quella fase avveniva che, a causa del maggiore afflusso d’oro di cui si è parlato, il rapporto di scambio fra oro e argento si era modificato a favore dell’argento. Chi aveva ducati, che di regola erano coniati in argento, ci lucrava sopra, e non solo nel cambio con la carta, ma anche nel cambio con le lire oro. Il disegno governativo di fregare i sudditi prosciugando l’argento in cambio di carta ed eccezionalmente di oro, ebbe buon corso nella Padana, ma non lo ebbe nelle Due Sicilie. In pratica la coniazione delle moneta d’argento cessò. Le poche coniazioni realizzate in questa fase furono in oro. Ciò creò disagi dovunque, persino nelle regioni ex sabaude. Ma nelle regioni ex duosiciliane i disagi furono condivisi da Bombrini. Quantomeno gli resero faticoso realizzare il suo progetto. Le popolazioni difesero l’argento che avevano in mano, imponendo un aggio tanto sulla cartamoneta quanto sull’oro monetato. D’altra parte, dovunque in Italia, l’argento faceva aggio sull’oro e l’oro sul biglietto. Al Sud, la Banca Nazionale dovette piegarsi a un compromesso. Pur d’incassare i ducati, Bombrini e i suoi soci liguri decisero di remunerare i depositi con un interesse del 2,5 per cento - una cosa che a quel tempo non rientrava nella pratica corrente in alcuna regione italiana. Ciò nonostante il primo bilancio della sede napoletana della Nazionale si chiuse in perdita. In effetti solo la mano violenta del governo nazionale avrebbe imposto l’italianità monetaria del Sud. “A distanza di un anno da quando la Banca Nazionale aveva aperto una sede a Napoli, quali risultati aveva conseguiti? Non c’erano stati quei progressi che l’importanza della piazza poteva lasciare presumere, e le sue operazioni erano « ben lontane » dal presentare quello stato soddisfacente sul quale si aveva diritto di contare ad onta della introduzione del corso legale delle monete d’oro”, commenta Demarco (**, pag. 146) citando il direttore della sede napoletana della Nazionale. E prosegue: “Il del Castillo poteva ripetere quanto aveva detto nel suo rapporto dell’11 gennaio [1862], circa le cause che ancora ostacolavano lo sviluppo della Banca Nazionale nelle provincie meridionali. L’esperienza, aggiungeva ora, aveva provato la necessità di adottare una misura che assicurasse al paese uno «stabilimento di credito serio e prospero», «mentre lasciando andar le cose da per loro si finirà per non ritirare nessun vantaggio né dalla Banca Nazionale, né dal Banco di [Napoli]». Se il Ministro non riteneva, per il momento, opportuna una soluzione radicale, egli chiedeva che si prendesse un «temperamento», che «la giustizia e l’interesse stesso dello Stato» richiedevano. E quale doveva essere questo temperamento? Richiamare il Banco di [Napoli] all’origine della sua istituzione, col vietargli le operazioni di sconto, e disporre che tutte le casse del governo, nonché quelle del Banco di [Napoli], fossero obbligate a ricevere i biglietti della Banca Nazionale, come era avvenuto nelle altre provincie del Regno. In realtà ecco che cosa accadeva. Mentre la fede di credito era ricevuta da tutte le casse governative e dalla stessa Banca Nazionale, il biglietto di quest’ultima era rifiutato e dalle casse governative e dal Banco di Napoli. Il biglietto della Banca Nazionale era quindi «ignorato dai più », o «in completo discredito», perché si riteneva che governo e banco rifiutassero di accettarlo nelle loro casse, «per poca fiducia». L’esistenza della Banca, senza la congiunta circolazione del biglietto è «un’impossibilità», diceva il del Castillo, mentre ognuno rammenta che, con l’incalzare degli avvenimenti del ‘59, una delle fonti, cui il governo si rivolse con maggiore successo, fu la Banca Nazionale, rendendone forzoso il corso del biglietto. Il governo continuando ad operare in tal modo finiva per privarsi di una risorsa. Ma «non si trasformano d’un colpo le abitudini di un popolo, né si può soddisfare a tutti i suoi bisogni con un’ordinanza del potere il meglio assodato e sicuro». «Cambiare violentemente non è moralizzare, ma perpetuare le idee della violenza » (Il Commissario Governativo, del Castillo, al Ministro dell’Agricoltura, a Torino. Napoli, 25 ottobre 1862)”. L’impotenza finanziaria ex sarda, quantunque accompagnata dalla forza politica dello Stato, e la potenza finanziaria duosiciliana, benché scompagnata a una qualunque forza politica, resero dura e pesante la vita al governo nelle nuove province merdionali. Ciò convinse Bombrini - e lo Stato suo succubo - a piegarsi e a rimandare la cancellazione dei Banchi meridionali a un momento più propizio. Dal canto suo, il ceto mercantile della città di Napoli, o forse una parte soltanto, cominciò machiavellicamente a ponderare l’idea di allearsi con un nemico che non aveva la forza di abbattere. Guidato credo dall’industriale Mauricoffe, tentò di salvare il salvabile buttandosi nelle braccia del vincitore e parteggiando per la Banca Nazionale. Ma, come vedremo, al punto in cui giunse il rapporto Sud/Nord il gruppo dirigente del neo-Banco di Napoli preferì salvare sé stesso, anche se in posizione subordinata al governo nazionale e servile degli interessi emersi nel paese padano. 7.4 Identica cosa avvenne in Sicilia. “ Con decreto del 7 aprile 1843 il Governo borbonico estese alla Sicilia l’apparato bancario napoletano istituendovi due Casse di corte, una a Palermo e una a Messina, alle dipendenza della Reggenza del Banco delle Due Sicilie avente sede a Napoli. In base all’atto sovrano del 2 settembre 1849 con cui fu stabilito che l’amministrazione civile, giudiziaria e finanziaria della Sicilia fosse ‹per sempre› separata da quella dei domini continentali, la due Casse di Corte siciliane furono rese indipendenti dal Banco napoletano e costituirono un nuovo istituto che con decreto del 13 agosto1850 assunse la denominazione di Banco regio dei reali dominii al di là del Faro e fu posto alle dipendenze del Luogotenente generale in Sicilia” (Giuffida, pag. 6). Il Banco siciliano funzionava allo stesso modo del Banco napoletano, cioè accettava danaro in deposito, a fronte del quale rilasciava una fede di credito, commerciabile in Sicilia e nel Napoletano.